Teatro

Moderni cantastorie – Il Mistero Buffo della Paolo Grassi a StràFestival

Moderni cantastorie – Il Mistero Buffo della Paolo Grassi a StràFestival

La Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi ripropone le sue giullarate popolari ispirate all'opera di Dario Fo nel vitale contesto di StràFestival – Festival delle Arti di Strada.

Il teatro non necessita di pareti. Nata nelle strade e nelle piazze, a secoli di distanza quest'arte ancora rende vivi gli angoli a volte sottovalutati delle nostre città. Nell'ambito di StràFestival - Festival delle Arti di Strada la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi ha portato in scena nel cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco il suo Mistero buffo e altre storie, frutto in costante evoluzione dell'omonimo laboratorio permanente a sua volta ispirato alla giullarata popolare messa in scena per la prima volta da Dario Fo nel 1969. Fedele allo spirito dell'opera di Fo ed ispirato in particolare a La fame dello Zanni  la rappresentazione dei bravissimi allievi ed ex-allievi della Paolo Grassi diretti da Michele Bottini ribadisce lo spirito narrativo del teatro e presenta grazie a cinque coinvolgenti "cantastorie" altrettante cronache popolari legate dal tema della fame, sia essa fisica o spirituale. Dello spettacolo originario viene riproposto il Grammelot di Scapino, fatto risalire a Molière, racconto dei vezzi e delle meschinità del potere interpretato da Luca d’Addino in un esilarante francese inventato. A questo si affiancano nuove narrazioni che i moderni cantastorie propongono in quella che è per loro la lingua più "naturale", ovvero il dialetto o l'inflessione della regione d'origine. E' quindi in un divertente dialetto murgiano che Gaetano Mongelli interpreta il monologo di Catacchio dentro la fame, un malessere fisico che verrà curato in maniera sorprendente ma che avrà strani effetti collaterali. Di ambiente “romano” sono invece i racconti di Giulia Mancini e Leonardo Manzano, che con i loro La nascita dell’ignota e Molto rumore per nulla esplorano una fame interiore, quella della conoscenza del proprio io in rapporto al mondo esterno e quella per la pace, il silenzio, la tranquillità che nella società moderna sono diventati merce rarissima. La perfomance si chiude con una vena di umorismo scatologico, con l’interpretazione di Michele Bottini di uno dei testi del repertorio di Dario Fo e Franca Rame, Il tumulto di Bologna, che ribadisce come a volte la realtà sia più fantastica della finzione.